Stringimi, ma di tango struggimi. Storia d’amore e gel. 

<< Se non mi costellate, me ne vado! >> Disse la signora in rosso dal gesto snob ed il capello mosso.

<< Ti costelliamo, ti costelliamo, va là, mettiti in fila e prendi il numero … >> rispose una voce dalla caverna.

<< Centoventitrè? Omioddio! A che numero siete arrivati?>>

<< Cinque!>>  Continuò la voce dal buio.

<< Allora aspetto fuori, che qui, senza sentire,  mi sento mancare …>>

<< Come vuole, la chiameremo, se ci aggrada, anche se è firmata Prada>>

La signora di rosso vestita uscendo incontrò il solito poco di buono,  violoncellista di tango. Si strusse all’ascolto e già la scelta del verbo la mandò in estasi.

Il poco di buono, un vero tanghero, esordì:

<< Signora, mi dia una mano, c’è da spostare un accento!>>

<< Anche un apostrofo, già che ci siete!>> … tuonò dal bosco il taglialegna che non voleva l’ascia lasciare e neppure raddoppiare.

La signora in rosso, mossa dal suo spirito crocerossino,  gli diede una mano e in un men che non si dica, si trovò avvolta dalle note di un tango, abbracciata dal violoncellista impomatato che saliva basicamente, magicamente impomatato e bello. Fu travolta dal destino che per l’occasione suonava una languida milonga.

<< Piacere, sono Monica … … >> disse lei  malinconica, ancora strutta dall’abbraccio virile. << Stringimi, ma di tango struggimi … sudami se ne sei capace, virile uomo dal ventre a carapace … >>

Lui non le rispose, la sudò un po’, la circuì, la spumeggiò languido, le sussurrò sbavate sillabe tronche all’orecchio, le solleticò il piloro con un guizzo da boero  e la cinse ancor più a sé.

<< Monica, dove sei stata tutta la vita?>>

Lei in quella frase calda si sciolse come una noce di burro in tegame e la gambe iniziarono a soffriggere insieme al ventre …

<< Ero via, non ero qui, e se c’ero, non me ne sono accorta nemmeno … >> I violini e la fisarmonica intanto facevano il loro sporco gioco. Anche il cielo aveva un azzurro maledetto, e i verdi? I verdi tutti congiurarono per l’ineluttabile. E volete che la luna non si affacciasse insieme alle stelle e al rosso del tramonto e ai battaglioni di angelici putti e amorini in flottiglia ordinata come storni autunnali?

Tutto era compiuto, il dado era tratto e a tratti la scena si colorava e a tratti no. Ma che ci volete fare, questo passava il convento dell’amore …

Lei cedette strutta, innamorandosi addosso, come una bimba di dodici anni. Si sfilò dall’abbraccio, tirò su col naso, si raccolse i capelli, tirò su i  calzettoni  e la guepiere, e già che c’era tirò su un pezzo di carta e disse:

<< Sei un truzzo tremendo, ma mi sciolgo nell’ odore del tuo gel da quattro soldi, mi piace come mi maneggi e mi impasti le carni e il cuore … e questa musica, e questo scenario da visionari, e questa strana sensazione addosso … come ti chiami?>>

<< Cosa importa il nome, mia dolce costellata, sono il tuo mentore, il tuo truzzo animale guida, il tuo sciamano, il tuo showman, il tuo sposo e la tua dannazione, il tuo liberatore e il tuo aguzzino. Che agùzzino pure le punte delle alabarde e che affilino gli archetti dei violoncelli, sono qui per difenderti  e per imprigionarti, sono qui per farti ridere e straziarti, per affondare nelle tue carni per nutrirmi però solo dei tuoi capelli … ebbene sì sono pure  vegetariano … >>

<< Hai parole che affondano precise come lame di Toledo, come lubriche formule algebriche … >>

<< Altro che algebra, ti trigonomizzerei tangendoti i seni e i coseni, secandoti al logaritmo giusto!>>

E mentre il palpitante accoppiamento rocambolesco si consumava, la scena andò in riserva.

<< Centoventitrè!>>

<< Centoventitrè … >> Si udì di nuovo, ma con minore convinzione.

Ma del centoventitrè nessuna traccia, solo un lontano rumore di cespugli scossi e foglie secche calpestate da un daino zoppo e ritmato.

Sospiri a ore e lenzuola di lino.

<< Centoventiquattro!>>

<< Perché mi hai chiamato struzzo?>>

<< Truzzo! Non Struzzo … non hai la classe giusta! Ma tanghi benissimo, avvolgi benissimo, pesti i piedi poco e odori di gel della esselunga >>

<< Caliamoci nel limbo, anzi meglio, libiamoci dei calici di  ineluttabile voluttuosità, ho giusto qui un rosso così barricato che non vuole uscire … >>

<< Ma come parli? Comunque parli bene, balli bene, anche se non mi sai di pulito >>

<< Cosa cerchi in questi anfratti e frangenti di fango, donna maliarda in accoppiata di tango?>>

<< Cerco l’amore … mi facevo costellare per questo …>>

Nel frattempo di sghimbescio, si incrociavano arti e tibie, maleodoranti malleoli, e i sudati vestiti si stropicciavano addosso, con i violinisti che dall’alto degli alberi, coi loro archetti scagliavano freccette e note. Fu così che si consumarono le braci danzanti dei due improbabili amanti.

Il sole calò da qui a là e la notte fu.

Nottetempo lui sparì e sparò, lasciandosi dietro il suo profumo di lavanda e di gel dell’esselunga. Lei la trovarono addormentata, con due mollette di legno che le stringevano l’indice e il medio. Era vestita di rosso, smalto e sorriso compresi, aveva boccoli spettinati, vestiti spettinati, pettini spettinati e ai piedi due pattini. Rossi. Spattinati.

<<Centosettantadue!…>>

Il conteggio la fece sussultare … cercò di alzarsi e si accorse delle rotelle ai piedi.

<< Ho solo sognato? Dove sei tanguero del mio cuor leggero!?? Dimmi, amato, dove sei? >> e così dicendo scese nella caverna …

<< Qualcuno di voi ha visto un tanguero? Un uomo alto così, bello così, audace così, mi faceva battere il cuore così, e mi ha amato da qui a lì … >> e ad ogni “così”, accompagnava con un gesto delle mani … e anche altre cose, così … << qualcuno lo ha visto?>>

Dalla penombra una voce morbida e vellutata rispose:

<< Intendi il ballerino impomatato del bosco? Lo conosco, lo conosco …>>

<< Sì, sì, credo di sì , proprio lui, il re del bunga bunga con il gel dell’esselunga! … Lui ! >>

<< E’ stato solo un parto … del tuo immaginario … un miraggio … niente di più … credimi, non esistono amori come quelli … gli unici amori che puoi trovare sono quelli dell’ ikea, da montare, senza istruzioni e senza bulloni. Nient’altro puoi sperare, solo colla e carteggiare … profili da sgrezzare, uomini da lisciare, insomma, quelli da montare … >>

<< Ma … ma … >> fece lei col batticuore di dolore … un singulto le strozzò il gargarozzo, mentre il pianto spingeva verso l’alto.

Fu proprio in quel momento che un aroma a lei noto trasportato fu dal vento.

Le trombe tritonali della centoventotto abarth ribassata tronarono l’incipit “O sole mio” e un polverone accompagnò l’eventoventotto …

<< Sali, sfitinzia costellata! Il tuo truzzo è tornato a prenderti!>>

La sua camicia aperta al petto lasciava ondeggiare il vello sudato al vento, un petto costellato da due catene d’oro, una con l’immagine di Padre Pio e l’altra con quella della mamma. Lei si avvicinò trepida, e appena salì in auto il forte odore di gel e di piedi di fante stagionati, la tramortì, ma si sperse nei suoi occhi cisposi …

<< Dove sei andato? Perché mi hai lasciato sola? … sono quasi morta di dolore … >>

<< Dovevo fare la revisione al motore e passare al bar a salutare Tore! >>

<< Dove andremo? Che faremo? Ci ameremo?>>

<< Calma, Calma, una domanda alla volta non sono una persona così colta … >>

Mise in  moto con rinnovata classe, lei si allacciò la cintura e lui superò l’impasse.

<< Se non mi baci ora ti giuro che scendo!>> Disse lui accendendo anche lo stereo per camuffare un peto tremendo.

Copyright © 2017 – 2018 Marco Scanu. All rights reserved